Adele Teodoro | Ginecologia
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Da una donna per le donne…

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Il nuovo stile di vita, l’affermazione della donna in ambito lavorativo con la posticipazione della ricerca della prima gravidanza, fanno sì che sempre più coppie desiderose di avere un figlio debbano affrontare il difficile percorso della riproduzione assistita per il mancato concepimento spontaneo. Si stima che circa 1 coppia su tre abbia difficoltà di concepimento.Il primo approccio con lo specialista della fertilità prevede una prima consulenza. Questa serve per valutare i dati e le caratteristiche della coppia e gli esami e gli approfondimenti diagnostici necessari per poter indirizzare la coppia al trattamento più adatto al loro problema.

Primo colloquio:
Durante questo colloquio preliminare è possibile già eseguire molti degli esami che verranno richiesti se non precedentemente eseguiti, e se specificato, le segretarie provvederanno a prenotarli nella stessa data. Gli esami eseguibili presso il Centro Medico Monterosa sono:

Per il partner maschile:
spermiogramma di base che deve essere eseguito con 3-5 giorni di astinenza.

Per la partner femminile:
· Tampone cervicale con Antibiogramma per la ricerca di chlamidia e mycoplasma e tampone vaginale batteriologico
· Pap-test o alternativamente HPV screening
· Ecografia transvaginale
Il giorno ideale per eseguire questi esami è l’ 8°-10° giorno del ciclo (il primo giorno è considerato quando compare il primo flusso mestruale). Una volta eseguito questo incontro preliminare, e avuti gli esiti degli accertamenti si prenota un secondo colloquio.

Secondo colloquio:
Lo specialista valuta gli esami eseguiti, se indicato lo specialista esegue una sonoisterosalpingografia alla partner femminile (tecnica ecografia per la valutazione della pervietà tubarica) e quindi indirizza la coppia al trattamento più idoneo che viene quindi programmato. Il giorno ideale per il colloquio è tra l’ 8°- 10° giorno del ciclo. Presso il Centro Medico Monterosa le coppie possono eseguire monitoraggi ecografici dell’ovulazione e inseminazione intrauterina (IUI) sia su ciclo spontaneo che stimolato farmacologicamente.

Monitoraggi dell’ovulazione:
Queste ecografie transvaginali servono per valutare la crescita del follicolo ovulatorio, l’endometrio e la presenza del muco cervicale; successive ecografie servono per valutare e le loro modificazioni nella fase proliferatva del ciclo. Il primo giorno della comparsa del ciclo mestruale la donna prenota telefonicamente un appuntamento per il primo monitoraggio.

Inseminazione intrauterina:
E’ la deposizione degli spermatozoi trattati in cavità uterina vicino agli osti tubarici con l’ ausilio di un catetere di calibro sottile.

1. Ciclo spontaneo
In questi cicli di inseminazione non è previsto alcuno stimolo farmacologico. Il primo controllo ecografico avviene circa il 9° giorno del ciclo. I successivi controlli vengono stabiliti in base all’esito della prima ecografia. Al momento dell’ovulazione, che varia per ogni donna e per ogni ciclo, il marito raccoglie il campione di sperma per l’inseminazione.

2. Ciclo stimolato
E’ la stimolazione di una ovulazione multipla che aumenta la probabilità di insorgenza di una gravidanza incrementando il numero di ovociti prodotti in un singolo ciclo. La donna esegue le terapie come concordato con il ginecologo e nell’ 8°-9° giornata esegue il primo monitoraggio dell’ovulazione. La terapia viene monitorata e personalizzata tramite controlli ecografici seriati. Nel momento in cui tali controlli suggeriscono una buona maturazione dei follicoli viene indotta farmacologicamente l’ovulazione, cui segue la sopra descritta inseminazione.

Sonosalpingografia:
E’ una tecnica di recente utilizzo che utilizza del liquido come mezzo di contrasto per la visualizzazione tubarica e viene definita Hysterosalpingo-Contrast-Sonography (HyCoSy). La sonoisterosalpingografia è una tecnica ecografia che prevede una ecografia standard, seguita dall’iniezione di un mezzo di contrasto non tossico (soluzione salina sterile) in cavità uterina con un catetere inserito per via vaginale, previa disinfezione. E’ una metodica ecografia poco invasiva che non espone la paziente a radiazioni (vedi isterosalpingografia) e che può essere eseguita in regime ambulatoriale.
Profilassi antibiotica: solitamente non è necessaria perché la paziente ha eseguito i tamponi che sono risultati negativi. Altrimenti viene prescritto Zitromax 500mg 1 compressa per 3 sere da 2 sere prima della procedura.

SAPER SCEGLIERE IL METODO GIUSTO.

Per contraccezione si intende l’insieme di metodi adottati per evitare una gravidanza non desiderata. Un metodo contraccettivo si ritiene efficace quando non soltanto previene l’insorgenza della gravidanza non desiderata, ma comporta anche un benessere sulla salute fisica e psichica. Inoltre, un buon metodo contraccettivo dovrebbe essere: innocuo, cioè non comportare alcun effetto collaterale dannoso; reversibile, cioè permettere di recuperare la normale fertilità dopo la sua sospensione; accettabile da parte di chi lo utilizza, cioè di uso semplice, di costo accessibile, di facile reperibilità e di non interferenza con il rapporto.

La pillola anticoncezionale agisce rilasciando ormoni che mettono a riposo le ovaie e bloccano l’ovulazione. Si comincia ad assumere la pillola il 1°giorno delle mestruazioni, e si continua a prenderne una al giorno, possibilmente alla stessa ora, per 21 giorni. Si interrompe per una settimana e poi si ricomincia. Dopo un aborto si può cominciare a prendere la pillola dal primo giorno successivo all’intervento. La pillola può causare talvolta piccoli disturbi come nausea, tensione al seno, lieve aumento di peso e qualche perdita di sangue al di fuori delle mestruazioni, soprattutto nei primi mesi di utilizzo. Tutti questi piccoli disagi in genere scompaiono da soli. Esistono comunque pillole diverse, e sarà il ginecologo sulla base degli esami del sangue e delle esigenze della donna a scegliere quella più adatta. La pillola può essere assunta anche durante l’allattamento. In questo caso si assume però la minipillola (contiene solo progesterone e viene assunta senza interruzione) che non altera le caratteristiche e la produzione del latte.
Il cerotto si applica sulla pelle pulita (sull’addome, sul braccio, sui glutei, sulla spalla) e una volta applicato rilascia gli ormoni che passano direttamente nel circolo sistemico. Si utilizzano 3 cerotti al mese (un cerotto alla settimana più una settimana di intervallo).
L’anello vaginale è un piccolo anello di materiale atossico che va inserito in vagina dove rilascia gli ormoni che attraverso la parete vaginale passano direttamente nel circolo sistemico. Viene inserito e rimosso in modo semplice direttamente dalla donna. Va tenuto in vagina per 3 settimane e sostituito dopo una settimana di intervallo.
La spirale è un piccolo dispositivo di plastica e metallo (solitamente rame) o medicato al progesterone, che viene inserito nella cavità dell’utero dal ginecologo e può permanere per cinque anni. Agisce principalmente alterando l’ambiente endouterino e la motilità delle tube, ostacolando l’incontro dello spermatozoo e dell’ovulo. Può inoltre rendere inadatta la parete dell’utero a un eventuale annidamento dell’uovo fecondato. Va controllata periodicamente dal ginecologo.
Il diaframma è una calotta in lattice di gomma; si inserisce in vagina insieme a uno spermicida prima del rapporto e non va tolto prima di sei ore dal rapporto stesso; ricopre il collo dell’utero fungendo da barriera al passaggio degli spermatozoi.
Il preservativo è un cappuccio di lattice che viene indossato dall’uomo sul pene eretto per impedire che il liquido seminale penetri in vagina. Va inserito prima della penetrazione.
La contraccezione di emergenza è un trattamento ormonale da assumere per via orale entro 72 ore da un rapporto non protetto o in caso di fallimento di un altro contraccettivo. Agisce con meccanismi d’azione multipli (inibizione dell’ovulazione, interferenza con la migrazione e la funzionalità spermatica, modificazione dell’endometrio per impedire l’impianto). Deve essere prescritta da un medico e l’efficacia non è assoluta, ma è comunque tanto più alta, quanto prima si inizia il trattamento. Diversa è invece la RU 486 (mifepristone), che è invece una sostanza in grado di indurre l’aborto.
L’impianto sottocutaneo è un contraccettivo a lunga durata, che richiede prescrizione medica e può restare inserito fino a 3 anni. Non richiede somministrazione giornaliera, settimanale o mensile, quindi non bisogna ricordare tutti i giorni di prenderlo.
È un bastoncino morbido e flessibile che viene inserito sotto la pelle del braccio dal ginecologo, attraverso una piccola incisione. La maggior parte delle donne non è in grado di vederlo dopo l’inserimento, ma lo possono sentire tramite palpazione del punto in cui è stato inserito.
Le dimensioni reali sono 4 cm di lunghezza e 2 mm di diametro (circa le dimensioni di un fiammifero).
L’impianto esercita due azioni che prevengono la gravidanza. Innanzitutto, evita che l’organismo abbia ovulazioni (il rilascio di ovuli). In secondo luogo, rende più spesso il muco della cervice uterina, che agisce come una barriera evitando che gli spermatozoi possano raggiungere l’ovulo e fecondarlo.
Ha un’efficacia superiore al 99% nel prevenire la gravidanza, se inserito correttamente da personale medico qualificato.
L’impianto non contiene estrogeni, ma solo progestinico. Il ginecologo ne raccomanderà l’uso nei casi in cui non si può, o non si vuole, usare estrogeni.

 

 IMPIANTO SOTTOCUTANEO
Bufale_sesso
“LE BUFALE SUL SESSO”

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Cos’è la menopausa?
La menopausa è il momento della cessazione spontanea delle mestruazioni. Il termine menopausa deriva infatti dal greco “menos”, mese e “pausis” cessazione. La scomparsa del ciclo mestruale per almeno 12 mesi consecutivi è l’elemento che contraddistingue l’ingresso della donna in menopausa, ma rappresenta solo uno dei molteplici effetti correlati all’interruzione della produzione ormonale da parte dell’ovaio e alla perdita della capacità riproduttiva. Nel corso della vita infatti, l’ovaio esaurisce la sua riserva follicolare mediante un lento decadimento fisiologico; questo fenomeno si manifesta con la sospensione della produzione di estrogeni e progesterone e con una riduzione della quota di androgeni.

A quanti anni arriva la menopausa?
L’età media della menopausa in Europa è intorno ai 50 anni; in Italia mediamente è 52, ma l’arco di tempo in cui può comparire è abbastanza vasto: dai 45 ai 55 anni. Bisogna però tenere conto dell’età in cui compare la prima mestruazione (menarca) poiché la durata del ciclo è in genere di 35 anni, anche se il periodo può variare secondo l’origine della popolazione. Infatti le donne che provengono dai paesi del sud hanno un menarca precoce (a 9-10 anni) e una menopausa tardiva (verso i 55 anni). Invece le donne dei Paesi nordici hanno il menarca verso i 14 anni e la menopausa a 47-48anni. Quando la menopausa compare prima dei 40 anni è definita “precoce”. I fattori che la predispongono sono la razza, la familiarità e il fumo. Infatti, ad esempio nei Paesi orientali è accertato che la menopausa avviene prima che in quelli occidentali. Per quanto riguarda la predisposizione familiare, sembra che esista un meccanismo con il quale agiscono un gene repressore e uno induttore che regolano il ciclo mestruale, e che tale meccanismo sia trasmesso ereditariamente. Infatti, se la madre è andata in menopausa molto presto, sono alte le probabilità che alla figlia accada lo stesso. Infine è ormai accertato che il fumo, o meglio la nicotina, accelera il processo di atrofizzazione dell’ovaio bloccandone l’attività prima del tempo.

Quali sono i tempi della menopausa?
Va premesso che nell’accezione più comune il termine menopausa è confuso con climaterio, ossia il complesso di trasformazioni anatomo-funzionali e cliniche che corrispondono alla fisiologica involuzione delle ovaie e quindi alla cessazione delle mestruazioni e della funzione riproduttiva. La menopausa è quindi una fase del climaterio. Durante il climaterio si possono distinguere delle fasi che non sempre sono ben riconoscibili, ma che tuttavia esistono e sono ben caratterizzate.
I FASE: la premenopausa è il periodo antecedente alla menopausa vera e propria e può durare da alcuni mesi a diversi anni. È il periodo in cui compaiono i primi segnali tipici, ossia vampate di calore, irregolarità del ciclo, irrequietezza. Questa prima fase è caratterizzata spesso da cicli più abbondanti, talora emorragici. In alcune donne il ciclo può presentarsi ogni 20-24 giorni. La causa principale di questo corteo sintomatologico è il calo di progesterone e in particolare, l’attività dell’ovaio non garantisce più il normale equilibrio degli estrogeni e del progesterone indispensabile alla regolarità del flusso. Il quadro ormonale è caratterizzato da un calo di progesterone, estrogeni e da un aumento degli ormoni dell’ipofisi, FSH (ormone follicolo stimolante) e LH (ormone luteinizzante).
II FASE: menopausa vera e propria. In questo stadio le ovaie cessano di produrre progesterone ed estrogeni, il ciclo scompare definitivamente. In questa fase permangono o possono comparire fastidiosi disturbi (vampate, irrequietezza, secchezza vaginale, aumento di peso) e si creano i presupposti che condurranno all’osteoporosi e alle malattie cardiovascolari.
III FASE: post-menopausa. Questa fase inizia molti anni dopo l’insorgenza della menopausa (verso i 60 anni). È in questa fase che si riscontrano le patologie più gravi provocate dalla menopausa, ossia problemi cardiocircolatori ed osteoporosi, specialmente se la menopausa non viene trattata in tempo con terapie ed abitudini di vita corrette. Basti pensare che una delle cause maggiori di morte in donne in post-menopausa è l’infarto.

Cosa accade all’organismo in menopausa?
Le sedi da dove parte il segnale di inizio e di fine dell’attività ovarica sono l’ipotalamo (un’area del cervello) e l’ipofisi (una ghiandola situata alla base dell’encefalo). La menopausa si manifesta con dei segni tipici che sono la conseguenza di un cambiamento ormonale nella donna soprattutto con la scomparsa degli estrogeni. I sintomi iniziali possono rilevarsi in diverse forme e risentono di molti altri fattori (stato di salute della donna, abitudini di vita, situazione personale, stress.) L’irregolarità del ciclo, la prima avvisaglia della menopausa, è caratterizzata da un flusso che può saltare per qualche mese o manifestarsi più o meno abbondante a seconda del rapporto ormonale estrogeni-progesterone che si presenta in quel momento.
Le vampate di calore sono il sintomo più frequente (compaiono in forma moderata nel 70% circa delle donne e in forma severa in un altro 15%) e consistono in una improvvisa sensazione di calore alla parte superiore del corpo (viso, collo e petto). Le “caldane”, come sono comunemente chiamate le vampate, possono verificarsi anche di notte e sono dette sudorazioni notturne. Non sono pericolose per l’organismo ma sono molto fastidiose perché all’innalzamento improvviso della temperatura segue una sudorazione abbondante. Compaiono precocemente e tendono a persistere per un tempo variabile da alcuni mesi a molti anni, per poi gradatamente scomparire. I disturbi vasomotori conseguono al calo estrogenico a livello dei centri di regolazione del sistema nervoso autonomo. In particolare, l’ipotalamo altera la sua funzione con iper produzione di catecolamine che hanno un’ azione periferica vasomotoria, da cui gli arrossamenti, le vampate e le sudorazioni.
I disturbi dell’umore (ansia, depressione e irritabilità) insorgono precocemente: la carenza di ormoni prodotti dall’ovaio influisce su alcune sostanze chimiche del cervello che agiscono sui meccanismi che regolano il tono dell’umore, l’attenzione ed il comportamento. La donna appena entra in menopausa è spesso afflitta da ansia, irritabilità, depressione e difficoltà nella concentrazione. Da questi problemi può derivare poi l’insonnia che deriva anche dall’alterato ruolo degli ormoni di regolatori del ritmo veglia-sonno. È noto, infatti, che con il passare degli anni si dorme sempre meno. Inoltre durante la fase delle sudorazioni notturne è inevitabile svegliarsi in continuazione e perdere facilmente il sonno.
Fisiologicamente il fisico cambia e si adatta alla nuova situazione ormonale provocata dalla menopausa. L’utero diminuisce le sue dimensioni in seguito ad un assottigliamento della massa muscolare e dell’endometrio. Le ovaie cessando la loro attività, si atrofizzano e si riducono di volume. La carenza dello stimolo estrogenino sui tessuti del distretto urogenitale comporta lo sviluppo di secchezza,irritazione e prurito delle mucose, difficoltà e dolore ai rapporti sessuali per ipotrofia dei tessuti vaginali e vulvari; l’aumento dello stimolo alla minzione, anche nel corso della notte, così come l’urgenza dello stimolo e l’incontinenza urinaria, sono invece correlati alla ipotrofia della mucosa uretrale, del trigono vescicale e di alcuni tessuti del pavimento pelvico. Questi fenomeni interessano una donna su due.
Anche il seno risente del calo di estrogeni perdendo volume e turgore con un aumento del tessuto adiposo che sostituisce quello ghiandolare mammario. Sempre per carenza di estrogeni si verificano i segni di invecchiamento della pelle. Il distretto cutaneo può manifestare segni di ridotto trofismo come l’assottigliamento, conseguente alle modificazioni quantitative e strutturali delle fibre elastiche e collagene, la secchezza, correlata alla riduzione della funzionalità delle ghiandole sebacee, e la comparsa di macchie cutanee con accentuazione delle linee di espressione.
È il derma, il tessuto di sostegno della pelle ricco di collagene, che risente di più dell’attività degli estrogeni. È stato calcolato che nell’arco degli ultimi cinque anni dall’ultima mestruazione si ha un calo di circa il 30% di collagene.
La riduzione della libido dipende dall’abbassamento dei livelli di androgeni (principalmente il testosterone) e in parte dalle diverse modificazioni organiche dovute all’abbassamento degli estrogeni: riduzione dell’elasticità vaginale, minore lubrificazione delle mucose, insufficienza erettile del clitoride, infezioni batteriche ricorrenti sostenute dalla progressiva modificazione del pH vaginale. Un ruolo non trascurabile è imputabile all’auto percezione di un progressivo decadimento della propria immagine corporea.
I fattori che determinano un aumento di peso della donna durante il periodo menopausale non sono dovuti solo ad un fattore ormonale ma a fattori legati principalmente all’età. È ormai accertato che verso i 45 anni il metabolismo rallenta e si ha un dispendio minore di calorie. Ad es. una giovane donna che assume 1000 calorie al giorno ne spende 1000. Con l’aumentare degli anni di quelle 1000 ne spende 800 con un sovraplus di 200 calorie che andranno ad immagazzinarsi sotto forma di grasso. Bastano quelle 200 calorie in più al giorno per prendere dai 5 ai 7 kg in un anno. Un consiglio utile per controllare l’aumento di peso è di fare attenzione alla propria dieta prendendo in esame cosa serve alla donna in pre- e post-menopausa. Al regime dietetico appropriato si devono associare degli integratori che diano un buon apporto di minerali e vitamine specifiche per la donna in menopausa e sostanze capaci di prevenire disturbi cardiocircolatori, osteoporosi e tumori.
Le due conseguenze peggiori e più temute causate dalla menopausa sono a carico dell’apparato scheletrico e del sistema cardiovascolare. Per i primi 5 anni dall’inizio della menopausa si verifica una perdita di tessuto osseo che annualmente corrisponde a circa il 2%; negli anni successivi la velocità di riassorbimento tende a ridursi ma espone in ogni caso a un rischio di osteoporosi. Con la menopausa, quindi dopo i 50 anni, statisticamente 1 donna su 4 va incontro al fenomeno dell’osteoporosi. La mancanza di ormoni femminili provoca con gli anni una perdita della massa ossea. L’osso si decalcifica e si indebolisce sempre più con un aumentato rischio di fratture. L’osteoporosi è una malattia silente perché procede lentamente senza dolore fino a quando non porta a conseguenze gravi. Le donne maggiormente esposte sono di razza bianca, ossatura piccola, costituzione esile, con menopausa precoce, fumatrici, forti consumatrici di alcool e quelle con storia familiare di osteoporosi.
Con l’avanzare dell’età il rischio di aumento della pressione arteriosa cresce, ma il passaggio alla menopausa rappresenta un momento particolarmente critico in cui il sistema cardiocircolatorio affronta la riduzione dell’effetto vasodilatatorio degli estrogeni; è frequente che in questo momento si manifesti in forma conclamata l’ipertensione, favorita dal concomitante aumento ponderale, con distribuzione centralizzata dell’adipe, e della ritenzione idrica. Il rischio di malattia coronaria si correla strettamente a tale circostanza, alla quale si aggiunge lo sviluppo di alterazioni del metabolismo dei grassi e l’ipercolesterolemia. Durante il periodo fertile infatti, le donne sono ricche di colesterolo Hdl cioè il colesterolo “buono”. Le Hdl sono le lipoproteine responsabili del trasporto di colesterolo fuori dal sangue diminuendo la sua possibilità di accumulo nelle arterie. Dopo la menopausa aumentano invece i trigliceridi ed il “colesterolo cattivo”, l’Ldl. Come conseguenza c’è la tendenza all’accumulo di grasso nelle arterie con formazione di placche arteriosclerotiche e conseguenze anche gravi a tutto il sistema cardiocircolatorio.
Esiste un rischio di malattia neoplastica più alto rispetto alle altre età della vita: il tumore della mammella, il primo per incidenza e prevalenza, ricorre con frequenza crescente con l’avanzare dell’età fino a una quota dell’8% tra i 50 e gli 80 anni. Il carcinoma del polmone colpisce maggiormente tra i 50 e i 65 anni. Inoltre, per una donna che ha raggiunto la menopausa il rischio di ammalarsi entro i 75 anni di carcinoma dell’endometrio è stimato intorno all’1-3%. Il carcinoma ovario, la principale causa di morte per patologia maligna ginecologica, incide maggiormente tra i 60 e i 70 anni, e l’età media alla diagnosi è 63 anni. Anche il carcinoma del colon è caratteristico dell’età matura, tanto che solo il 3% incide prima dei 40 anni.

Qual è la terapia della menopausa?
Considerando che la vita media di una donna è di 75 anni in Europa e che l’età media di comparsa della menopausa è 50 anni, circa 1/3 della vita di una donna è trascorso in menopausa. È fondamentale durante tale periodo garantire una migliore qualità di vita. Oggi le donne conducono stili di vita più sana ed imparano a vivere meglio la fase di transizione della menopausa. Esistono diversi rimedi sia di tipo farmacologico di sintesi che di tipo completamente naturale.
La terapia ormonale sostitutiva, nota con la sigla HRT, consiste nella somministrazione di ormoni di sintesi per compensare la carenza di estrogeni e progesterone dovuta alla ridotta o cessata produzione ormonale delle ovaie. L’HRT può essere somministrata in diversi modi: compresse, cerotti, creme vaginali. Gli effetti benefici di questa terapia sui sintomi menopausali quali vampate di calore, secchezza vaginale, insonnia e alterazioni del tono dell’umore, sono noti, così come è stata dimostrata la capacità di contrastare l’osteoporosi con una riduzione delle fratture vertebrali, del femore e di altri distretti ossei. Inoltre, l’uso degli estrogeni dopo la menopausa sembrerebbe avere un effetto protettivo sul rischio di patologie cardiovascolari (principale causa di morte nel nostro Paese).
L’HRT deve essere prescritta da un medico che individua il dosaggio minimo capace di far sparire i disturbi e di contrastare la perdita ossea senza inconvenienti (dolore al seno, perdite vaginali, nausea, mal di testa, irritabilità). Il dosaggio varia alquanto e di solito è individuato per tentativi. La terapia sostitutiva infatti, deve essere “su misura”, rigorosamente personalizzata e adattata alle esigenze della donna. La terapia può essere di due tipi: ciclica o continua. Di solito la terapia ciclica prevede l’assunzione iniziale di estrogeni seguita dall’assunzione di una combinazione di estrogeni e progesterone con una interruzione di una settimana della cura e, nella maggior parte dei casi si ha la ricomparsa delle mestruazioni. La terapia continua prevede l’utilizzo di prodotti che contengono estrogeni e progestinici contemporaneamente. Nel caso in cui la donna non abbia l’utero si possono dare solo estrogeni.

Chi può fare la terapia ormonale sostitutiva?
La cura ormonale sostitutiva non può essere prescritta a tutte le donne indistintamente. Ci sono infatti dei casi ben precisi in cui non si può utilizzare la terapia ormonale:

  • In donne che hanno un tumore al seno; quelle che l’hanno avuto in passato, vanno valutate caso per caso, anche in base agli anni trascorsi.
  • In donne che hanno un tumore all’utero; quelle che ne hanno sofferto in passato, vanno valutate caso per caso, anche in base alla presenza dell’utero e agli anni trascorsi.
  • In donne che presentano un sanguinamento uterino di cui non si conosce la causa.
  • In donne che hanno una grave malattia del fegato in fase attiva; mentre la terapia può essere seguita da quelle con epatiti croniche con una buona funzionalità epatica.
  • In donne che hanno episodi trombotici o tromboembolici in atto.

La terapia ormonale sostitutiva è invece particolarmente indicata:

  • Nelle donne che hanno o hanno avuto una menopausa precoce, prima dei 40 anni, in particolare in quelle in cui la menopausa è stata indotta da un intervento chirurgico o da altre terapie; queste donne sono infatti a maggior rischio di osteoporosi e malattie cardiovascolari perché l’effetto protettivo degli estrogeni viene a mancare prima.
  • Nelle donne che accusano i sintomi tipici della menopausa: vampate, sudorazione notturna, atrofia e secchezza vaginale, insonnia, disturbi psicologici.
  • Nelle donne che presentano una marcata osteoporosi.

Il bilancio rischi-benefici dell’HRT deve essere valutato caso per caso a seconda dell’età, delle caratteristiche fisiche e cliniche, del profilo di rischio familiare e della sintomatologia delle singole donne che si trovano ad affrontare quell’inevitabile e importante periodo della vita che inizia con la perdita del ciclo mestruale
Quanto dura la terapia ormonale sostitutiva?
L’obiettivo della terapia è la prevenzione di patologie che intervengono nell’età postmenopausale. Si ritiene che una durata utile di terapia sia di alcuni anni, ma non oltre i 5. Va sottolineato che la terapia dovrebbe essere iniziata al declino della funzione ovarica; molti effetti della carenza estrogenica sono più rapidi nei primi anni di postmenopausa.

La terapia ormonale sostitutiva può favorire l’insorgenza di tumori?
Un freno alla diffusione della HRT è stato per qualche tempo il timore che gli ormoni potessero favorire l’insorgenza di tumori maligni, in particolare quelli sensibili agli estrogeni (mammella ed endometrio). Numerosi studi medici concordano nell’affermare che non esiste alcun aumento di rischio per i tumori dell’utero se agli estrogeni viene associato un progestinico. Per il seno, invece, anche le ultime ricerche confermano che il problema continua a esistere, pur se di entità nettamente inferiore a quello rappresentato da cardiopatie e fratture. Il rischio aumenta comunque di poco, e solo dopo 5-8 anni di trattamento. Paradossalmente, nelle donne che assumono ormoni la mortalità per tumore al seno si riduce, forse perché sono più attente alla loro salute, si controllano meglio e consentono la diagnosi precoce di eventuali neoplasie. Infine, c’è una significativa protezione nei confronti del tumore del colon-retto. In conclusione, la terapia ormonale sostitutiva rimane l’unico trattamento che sia nello stesso tempo capace di controllare l’ampio corteo sintomatologico correlato alla menopausa e di ridurre il numero di fratture osteoporotiche. L’effetto sul rischio tumorale è di protezione nei confronti dei tumori del colon-retto (nel nostro Paese quarta causa di morte per tumore), e di modesto aumento per i tumori della mammella (tale rischio si evidenzia solo per terapie di lunga durata, superiori a 5 anni, poco diffuse nel nostro Paese, dove in genere la durata di trattamento è molto inferiore).

La terapia ormonale sostitutiva previene i problemi cardiovascolari?
La menopausa incrementa, col tempo, il rischio di insorgenza di alcune patologie quali l’infarto del cuore e del cervello (ictus). La prevenzione delle patologie cardiovascolari non rientra nelle indicazioni all’HRT, anche se i dati a disposizione fanno ritenere che un effetto favorevole possa esistere se l’uso degli estrogeni è iniziato precocemente, negli anni immediatamente successivi alla menopausa, prima che si siano verificati danni da carenza estrogenica (aumento dei trigliceridi, dell’Ldl, il “colesterolo cattivo”, tendenza all’accumulo di grasso nelle arterie con formazione di placca arteriosclerotiche, perdita di tono dei vasi sanguigni, innalzamento della pressione arteriosa).

Ci sono alternative terapeutiche non ormonali?
Per le donne in menopausa che sono afflitte dalle “caldane” ma non possono affidarsi a una terapia con estrogeni per la presenza di controindicazioni o perché manifestano diffidenza e scarsa compliance all’assunzione di ormoni esistono alternative terapeutiche naturali (cioè a base di composti derivati dalle erbe). I fitoestrogeni sono composti presenti in numerose piante ed hanno un’azione simile a quella degli estrogeni (grazie alla struttura chimica simile agli ormoni femminili, sono in grado di legarsi ai recettori per gli estrogeni, pur essendo dotati di una potenza nettamente inferiore rispetto a questi, dalle 1000 alle 100 volte inferiore). Si conoscono 3 tipi di fitoestrogeni:

  • Isoflavoni (genisteina, daidzeina): steroli vegetali che si trovano nella soia, nel trifoglio e nei legumi.
  • Lignani: costituenti della parete cellulare della pianta, resi biodisponibili attraverso l’attività dei batteri intestinali. Sono presenti nell’olio di semi, specialmente quello di lino.
  • Cumestani: si trovano principalmente nel trifoglio rosso e nei germogli.

Un’altra fonte di fitoestrogeni è rappresentata da alcune piante officinali come la cimicifuga racemosa e l’erba medica. I risultati degli studi effettuati non sono concordi sul reale beneficio (il beneficio sulle vampate di calore appare modesto). Nessun effetto positivo è stato dimostrato sulla secchezza vaginale né su altri sintomi come i disturbi dell’umore, l’ansia,le cefalee. Inoltre, i fitoestrogeni non hanno dimostrato di essere in grado di migliorare significativamente la densità minerale ossea, né di ridurre il rischio di fratture da osteoporosi. Nelle donne trattate in precedenza per carcinoma mammario è attualmente controindicato l’uso dell’HRT per il dubbio che l’adozione di terapie con estrogeni comprometta l’efficacia delle terapie oncologiche. In queste donne il controllo delle vampate può essere efficacemente svolto dagli antidepressivi della classe SSRIs (selective Serotonine reuptake inhibitors), tra cui la fluoxetina, la paroxetina e la venlafaxina, utilizzati a dose più basse rispetto a quelle richieste per la cura della depressione.

I rimedi per il benessere in menopausa sono solo farmacologici?
La menopausa è un periodo in cui assume grande importanza fare esercizio fisico, mangiare sano e dedicare attenzioni a se stesse. L’esercizio fisico ha un ruolo importante nel mantenimento del peso corporeo (combatte la ritenzione idrica e accelera il metabolismo), riduce l’insonnia, allevia le vampate di calore migliorando il tono vascolare, previene la perdita di calcio dalle ossa e migliora il rischio cardiologico. Un’alimentazione corretta è fondamentale per il benessere della struttura scheletrica e muscolare, del cuore e del cervello. Durante la menopausa la dieta deve essere moderatamente calorica e ben bilanciata nei suoi nutrienti.
È raccomandabile:

  • Consumare abbondanti porzioni di verdure e frutta fresche.
  • Utilizzare prevalentemente olio di oliva come condimento.
  • Preferire il consumo di pesce e di carni bianche.
  • Assumere quotidianamente congrui quantitativi di latte e/o yogurt parzialmente scremati (per evitare di agire negativamente sul colesterolo e sui trigliceridi).

L’attenzione a se stesse non è meno importante: la menopausa è troppo spesso considerato dalla donna come un momento negativo della propria esistenza che porta a dei cambiamenti indesiderati. Bisogna ricordare che la qualità della vita non va mai persa di vista nemmeno in menopausa e la forza motrice va trovata dentro se stessi (“think positive” ).

A quali controlli periodici bisogna sottoporsi in menopausa?
È importante sottoporsi a regolari controlli medici perché l’organismo durante la menopausa subisce modificazioni non trascurabili e spesso veloci nel tempo. L’assistenza alla donna in menopausa in linea generale dovrebbe comprendere: esami ematochimici (emocromo completo, glicemia, bilirubina totale, transaminasi, colesterolo totale, colesterolo LDL, colesterolo HDL, trigliceridi, fibrinogeno, PT, PTT, creatininemia, calcemia, sodiemia, potassiemia, fosforemia, fosfatasi alcalina), esame completo delle urine, visita senologica (consigliata annualmente), mammografia bilaterale (da consigliare ogni due anni, salvo diverse istruzioni del senologo), Pap test e visita ginecologica, ecografia transvaginale (per la valutazione della morfologia utero-ovarica ed in particolare dello spessore dell’endometrio), MOC (o Mineralometria Ossea Computerizzata, per valutare il grado di mineralizzazione ossea e quindi diagnosticare precocemente un’eventuale osteoporosi).
Se la donna si sottopone a terapia ormonale sostitutiva, dopo tre mesi dall’inizio della terapia va effettuata una visita di controllo per valutare la compliance dell’HRT. Successivamente l’HRT va consigliata per 5 anni

10 consigli per vivere al meglio una fase importante della vita.
Alcuni semplici suggerimenti per contrastare i disturbi più frequenti possono migliorare sensibilmente la qualità della vita durante la menopausa.

  • Vampate di calore: sensazione di calore prevalentemente localizzata a viso e collo, con sudorazione profusa per alcuni minuti, che si ripete nel corso della giornata. Si: indumenti di cotone o tessuti naturali che assorbono il sudore. Vestirsi “a strati” scegliendo indumenti che possono essere tolti al momento della vampata. Svolgere attività fisica regolare (l’esercizio migliora la circolazione e consente di tollerare meglio gli sbalzi di temperatura). No: bagni caldi, fumo, sale, spezie, zucchero, cioccolato, alcolici, caffè e te (provocano vasocostrizione, aumentano la frequenza cardiaca, intensificano vampate e sudorazioni).
  • Modificazioni dei tessuti cutanei: rughe, macchie, cute sottile, capelli e unghie fragili. Si:idratazione e pulizia della pelle con prodotti adeguati, assunzione abbondante di liquidi, alimenti ricchi di vitamine e sali. No: detergenti cutanei troppo energici, esposizione eccessiva ai raggi solari.
  • Disturbi dell’apparato urinario: cistiti, incontinenza urinaria. Si: effettuare più volte al giorno esercizi per rinforzare la muscolatura del basso ventre, contraendola rapidamente e consecutivamente per 15-20 volte, come per impedire la fuoriuscita di urina, oppure iniziare ad urinare e, quando il getto è ben avviato, trattenere l’urina per 5 secondi, poi rilassarsi e terminare la minzione. Vuotare regolarmente la vescica (ogni 3 ore circa). Bere molto durante la giornata (fino a 1,5-2 litri) soprattutto se si è soggetti a cistiti.
  • Disturbi dell’apparato genitale: secchezza vaginale, vaginiti, dolori durante i rapporti. Si:indossare biancheria di cotone che non sia troppo aderente per prevenire irritazioni urogenitali. Utilizzare detergenti a pH fisiologico. Se i rapporti sono dolorosi, si possono utilizzare lubrificanti vaginali,. Mantenere regolare la funzione intestinale.
  • Disturbi nervosi: depressione, irritabilità, ansia, insonnia. Si: attività fisica regolare, supporto di familiari e amici.
  • Disturbi delle capacità mentali: perdita di memoria, perdita capacità di concentrazione e di apprendimento. Si: dedicarsi ad attività che spingono a tenere allenata la memoria (studio, letture, enigmistica). Non dare troppo peso ai vuoti di memoria e utilizzare “trucchi” per ricordare le cose (fare l’elenco delle cose da fare, riporre gli oggetti sempre nello stesso posto, ecc.).
  • Osteoporosi e artrosi: riduzione della massa ossea, fratture, dolori. Si: svolgere attività fisica regolare, senza però sovraccaricare troppo le articolazioni colpite (sospendere l’attività se compare dolore). Eseguire esercizi leggeri di mobilizzazione della colona vertebrale (per es. flessioni/estensioni laterali della colonna vertebrale) e di rinforzo dei muscoli addominali ( per es. sdraiata sulla schiena sollevare prima una gamba e poi l’altra mantenendole sollevate per 10 secondi). Nell’ ambito di una dieta equilibrata, preferire i cibi e le bevande ricche in calcio (latte, yogurt, formaggi e acqua ricca in calcio), preferibilmente nelle forme light e/o scremate per evitare di agire negativamente sul colesterolo e sui trigliceridi. No: fumo, alcolici, traumi, sforzi fisici eccessivi. Evitare posizioni viziate e scorrette nell’attività lavorativa e nella vita quotidiana. Correggere l’eventuale eccesso di peso.
  • Malattie cardiovascolari: infarto cardiaco, ictus cerebrale, trombosi venosa. Si: attività fisica regolare, controllo del peso corporeo, assunzione di legumi, cereali, verdure, pesce, frutta.No: fumo, grassi saturi (di origine animale come burro, strutto, lardo, ecc.). evitare un consumo eccessivo di carboidrati semplici (zucchero, dolci, ecc.). Ridurre la quantità totale di calorie assunte durante la giornata. Ridurre l’uso del sale
  • Tumori: mammella, utero, ovaio, intestino, polmoni ed altri organi. Si: visite mediche regolari, mammografia, esame citologico cervico-vaginale (Pap test), attività fisica, alimentazione ricca di verdure e frutta e povera di grassi. No: fumo.
  • La giusta consapevolezza di essere in menopausa deve indurre la donna a rivolgersi al proprio medico per informarsi sui rimedi disponibili per “colmare il vuoto” lasciato dall’esaurimento dell’attività ovarica e valutare l’opportunità di assumere una terapia ormonale sostitutiva

Malesseri del climaterio

Ciclo mestruale non regolare -periodi di amenorrea più o meno frequenti

-anomalie nel sanguinameto

Sintomi vasomotori -vampate di calore

-sudorazioni

-emicranie

-indolenzimenti

Disturbi legati all’azione degli estrogeni -atrofia delle mucose utero-vaginali

-atrofia delle mucose del sistema urinario

Sintomi del sistema nervoso -insonnia

-irritabilità

-riduzione memoria e concentrazione

-depressione

-astenia

-calo del desiderio

Controindicazioni alla terapia ormonale sostitutiva

Controindicazioni assolute

Controindicazioni relative

Severe epatopatie in atto Calcolosi della colecisti
Trombosi o embolia in atto Ipertrigliceridemia*
Adenocarcinoma dell’endometrio Fibromi uterini**
Carcinoma endometrioide dell’ovaio
Carcinoma della mammella
*indicata la via transdermica

** da preferire una terapia con estrogeni a basse dosi

OSTEOPOROSI

Con il termine Osteoporosi si intende una malattia del tessuto osseo che determina fragilità scheletrica, con facilità ad incorrere in fratture per traumi di poco conto o addirittura in modo spontaneo. La sintomatologia premonitrice è scarsissima o addirittura assente, tanto è vero che l’osteoporosi è stata indicata come “epidemia silenziosa”. Purtroppo anche in assenza di sintomi la malattia avanza e l’osso diventa fragile, fino a fratturarsi. Spesso è la frattura di una vertebra a permettere la prima diagnosi. L’osteoporosi colpisce una su due donne dopo i 45 anni, e un uomo su cinque. Le sedi più frequenti di fratture sono le vertebre, l’avambraccio, il femore e il bacino, ma anche altri segmenti scheletrici possono rappresentare, se fratturati, il primo segno di malattia. Quando questa patologia colpisce un individuo ne aumenta il rischio con un effetto amplificatore: in donne che hanno sofferto di una frattura vertebrale esiste un aumento di cinque volte della probabilità di soffrire di una futura frattura spontanea rispetto a donne che non hanno mai presentato fratture osteoporotiche. L’osteoporosi è una malattia che, al giorno d’oggi, presenta una rilevante importanza sociale ed economica a causa dei profondi mutamenti demografici che hanno caratterizzato il ventesimo secolo, nel corso del quale la vita media della popolazione è aumentata di circa 30 anni. Una donna trascorre oggi il 40% della propria esistenza in “postmenopausa” e questo stato di protratta carenza estrogenica induce cospicue perdite di massa scheletrica, con conseguente sensibile aumento del rischio di frattura. La riduzione della massa che consegue alla carenza ormonale postmenopausale è transitoria ma rapida e interessa tutto lo scheletro, anche se colpisce in modo preferenziale il tessuto trabecolare in quanto l’80% circa dei fenomeni di rimodellamento osseo avviene in questa sede. L’andamento della perdita ossea nel tempo è di tipo esponenziale e la maggior parte della riduzione avviene nei primi cinque anni dopo la menopausa, con una riduzione dell’osso trabecolare – più colpito – del 20-30% e una minore perdita corticale del 5-10%; tale perdita quindi rallenta, fino a ridursi alla fisiologica perdita legata all’età che interessa in modo equivalente il tessuto compatto e quello spongioso. Lo scheletro rappresenta l’impalcatura di sostegno dell’intero organismo, consentendone l’attività motoria e l’adeguata protezione per gli organi interni. L’osso è reso rigido dal suo alto contenuto in minerali, in particolare modo dal calcio, di cui rappresenta l’unico deposito presente nell’organismo. L’osso non è una struttura immutabile, ma un tessuto vivo che si rinnova continuamente. Il processo di rinnovamento serve a rimarginare le microlesioni cui va continuamente incontro l’osso che invecchia; la finalità è di mantenere lo scheletro in “buona salute” e in grado di sopportare lo stress delle sollecitazioni meccaniche della vita di ogni giorno. Il processo di rimodellamento è operato da due tipi di cellule: gli osteoclasti, deputati alla rimozione di osso vecchio, e gli osteoblasti, che consentono la deposizione di nuova sostanza ossea. L’osso, come qualsiasi altro tessuto, organo od apparato, tende ad invecchiare per cui, con il passare degli anni, si assiste ad una riduzione naturale della massa ossea. Questo processo avviene perché, dopo il quarantesimo anno di età circa il processo distruttivo prevale su quello ricostruttivo. L’osso tende così ad impoverirsi, andando incontro ad una lenta, progressiva ed inesorabile riduzione della sua massa. Ammalarsi di osteoporosi fa si che la perdita di sostanza ossea giunge a livelli tali da facilitare il cedimento della struttura ossea, in un qualsiasi distretto scheletrico, con rischio di frattura anche durante banali attività.

La prevenzione è importante e può essere attuata a due livelli: un primo momento riguarda la costituzione del maggior picco di massa ossea possibile (prevenzione primaria) e il secondo consiste nel rallentare l’inevitabile perdita ossea che si verifica dopo la menopausa e con l’invecchiamento (prevenzione secondaria). Non esiste una terapia capace di produrre una “restituito ad integrum” completa e ordinata delle strutture scheletriche per quanto riguarda la massa e l’intima architettura. I trattamenti disponibili più frequentemente sono in grado di frenare la perdita di massa ossea e impedire l’aggravarsi del danno alle microstrutture. Pertanto si evince che la terapia dell’oteoporosi nonché la sua prevenzione devono comprendere non solo un opportuno regime di vita e talvolta l’impiego di farmaci, ma anche un programma di attività motoria che è indispensabile al buon esito globale della cura. L’esercizio fisico deve essere ben studiato e di entità proporzionata alle possibilità del soggetto, relativamente all’età e alle condizioni fisiche generali. Latte e latticini sono gli alimenti più ricchi: non introdurli giornalmente richiede di assumere il prezioso minerale attraverso altre vie, come le acque minerali ricche di calcio o i supplementi. La vitamina D permette di assorbire il calcio a livello intestinale: questa vitamina viene sintetizzata a livello cutaneo sotto l’effetto dei raggi solari (l’esposizione alla luce solare di braccia e gambe senza protettori solari deve essere minimo di 10 minuti tre volte alla settimana). I supplementi di vitamina D vengono in aiuto se l’esposizione al sole è scarsa o insufficiente.

La sintomatologia dell’osteoporosi è silente per molto tempo. Purtroppo anche in assenza di sintomi la malattia avanza e l’osso diventa fragile, fino a fratturarsi. Le fratture che si associano all’osteoporosi possono interessare tutte le ossa del nostro corpo, ma avvengono principalmente a livello delle vertebre, del femore, del radio e dell’ulna, delle coste, dell’omero e del bacino. Le fratture del femore sono sicuramente le più importanti in termini di disabilità. Dopo i primi 12 mesi da una frattura del femore, infatti, circa la metà dei pazienti sono incapaci di camminare in modo autonomo. Inoltre, quasi nel 20% dei casi, può residuare una definitiva non-autosuffucienza del paziente. Si può assistere poi ad un incremento della mortalità che, nel primo anno dopo questo tipo di frattura, può raggiungere il 15-25%. La frattura osteoporotica del femore può portare a disabilità a causa delle frequenti complicanze quali: insufficienza respiratoria, alterazioni urinarie, scompensi cardiaci, sanguinamenti intestinali, ipotensione, tromboembolia, piaghe da decubito. Anche i crolli vertebrali possono causare disabilità, in quanto spesso provocano il dolore cronico del rachide, la riduzione della statura e l’impedimento della normale postura per incurvamento del dorso. I sintomi da frattura vertebrale, seppure molto importanti, sono specifici e talora di durata limitata per cui il 50% circa dei soggetti che ne sono affetti non sanno di aver avuto una frattura vertebrale. Quando l’osteoporosi colpisce un individuo ne aumenta il rischio con un effetto amplificatore: in donne che hanno sofferto di una frattura vertebrale esiste un aumento di cinque volte della probabilità di soffrire di una futura frattura spontanea rispetto a donne che non hanno mai presentato fratture osteoporotiche, per cui è importante riconoscerne l’esistenza ed avviare un appropriato trattamento.

Nella diagnosi di osteoporosi la mineralometria ossea (MOC) rappresenta l’esame strumentale più specifico ai fini diagnostici per quantificare con esattezza la perdita di massa ossea e valutare nel tempo l’efficacia del trattamento. Oggi sono disponibili vari tipi di strumentari: alcuni utilizzano i raggi X, altri gli ultrasuoni. La densiometria ossea a doppia emissione di raggi X (DEXA) è un esame sicuro, indolore, accessibile a tutti e a qualsiasi età e comporta una irrilevante esposizione radiante per i pazienti. L’ultrasonografia delle falangi utilizza gli ultrasuoni per valutare la densità e la struttura ossea. La procedura non è invasiva, l’esecuzione dell’esame è rapida e la procedura è innocua. Gli esami del sangue e delle urine potranno in certi casi guidare la diagnosi di malattia. In genere si consiglia di eseguire la MOC almeno una volta nella vita al di sopra dei 65 anni di età ed in tutti i soggetti con almeno un fattore di rischio osteoporotico. Per le donne in post-menopausa l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha proposto dei criteri classificativi basati sul numero delle deviazioni standard rispetto al valore teorico raggiunto al picco di massa ossea (cioè il massimo livello che la massa ossea raggiunge a seguito di uno sviluppo normale). Il T-Score è un parametro che permette di stimare il rischio di frattura ed è appunto la differenza tra i risultati ed i valori del giovane adulto sano. Un T-Score di –1 corrisponde ad una diminuzione di una deviazione standard rispetto al giovane adulto sano (circa il 16% di perdita). Una commissione di esperti dell’OMS ha creato delle categorie che definiscono la quantità di perdita ossea:

  • Normale T-score superiore a 0
  • Bassa massa corporea T-score tra 0 e -1,5
  • Osteoporotica T-score minore di -2,5

Alcuni test genetici possono essere condotti in famiglie con storia clinica di osteoporosi. La patogenesi dell’osteoporosi è multifattoriale ossia deriva dall’interazione tra vari fattori di rischio genetici e ambientali. Attualmente il contributo della componente genetica è considerato fondamentale: infatti si ritiene che i fattori di tipo genetico siano in grado di influire su circa l’80% della variazione della densità ossea, sia in relazione alla formazione che al riassorbimento del tessuto osseo. Tale influsso si manifesta sia sul raggiungimento del picco di massa ossea in età giovanile, sia sulla perdita ossea nella età adulta. Sono molteplici i geni coinvolti nella patogenesi dell’osteoporosi; tra essi, però, solo alcuni ricoprono ruoli chiave e forniscono informazioni fondamentali sul rischio di sviluppare l’osteoporosi. Considerato il ruolo fondamentale degli estrogeni sia nello sviluppo delle cellule ossee, che nel mantenimento della normale architettura scheletrica, numerosi ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sul gene responsabile del recettore alfa degli estrogeni. Gli studi condotti hanno dimostrato la presenza di correlazione tra alcune modificazioni di tale gene e i valori di densità ossea, rendendo quindi il gene del recettore alfa degli estrogeni uno dei geni più indicativi per fornire informazioni a carattere predittivo sul rischio di sviluppare la patologia osteoporotica. Il test genetico consiste nella raccolta del campione dal soggetto (una goccia di sangue) da deporre su una cartina speciale che ne permette la conservazione. Dal campione viene estratto il DNA e quindi viene determinato mediante aggiornate tecniche, il carattere della resistenza o della suscettibilità alla patologia degenerativa ed alle fratture ossee. Chiaramente il test genetico non offre un risultato che individui con certezza chi andrà soggetto a fratture osteoporotiche e chi non sperimenterà tale evento: esso infatti indica l’eventuale presenza di un fattore specifico di rischio e, pur senza una diagnosi, offre la possibilità di contrastarlo in tempo, adottando ed ottimizzando le strategie di intervento e di controllo.

Vari farmaci vengono impiegati per la terapia dell’osteoporosi. Le molecole a disposizione hanno meccanismi di azione diversi, agendo come inibitori della distruzione ossea oppure come stimolatori della formazione di nuovo tessuto. Il medico curante sceglie il farmaco più adatto a singolo individuo e la sequenza ideale nella terapia combinata con farmaci ad azione diversa.

I provvedimenti terapeutici contemplano:

  • Terapia ormonale sostitutiva (HRT)
  • Farmaci in grado di prevenire la perdita ossea e di promuovere la deposizione minerale
  • Ormoni osteotrofici
  • Integrazione di calcio e fluoro
  • Vitamina D e suoi derivati

I farmaci che hanno dimostrato di ridurre il rischio di fratture sono i seguenti:

  • Alendronato e risedronato (famiglia dei bifosfonati): agiscono inibendo il riassorbimento dell’osso; si assumono una volta alla settimana.
  • Ibandronato: (famiglia dei bifosfonati): ha lo stesso meccanismo d’azione, ma viene somministrato una sola volta al mese.
  • Raloxifene: sull’osso ha un’azione esattamente uguale a quella degli estrogeni, mentre il suo effetto su altri organi (per esempio il seno) è opposto, cioè oltre a ridurre il rischio di frattura diminuisce quello di tumore al seno
  • Ranelato di stronzio: questo farmaco inibisce il riassorbimento dell’osso e ne favorisce la formazione permettendo di avere un bilancio positivo
  • Teriparatide: è un frammento del paratormone prodotto grazie all’ingegneria genetica. Stimola la produzione di osso, ne migliora la struttura e permette una notevole diminuzione delle fratture.
  • Paratormone: agisce come la teriparatide di cui sembra essere ancora più potente. Per il momento è stato approvato solo in Europa. Entrambi sembrano offrire i migliori risultati se utilizzati in sequenza con altri farmaci, per esempio i bifosfonati.

Due nuovi farmaci sono in arrivo. Si tratta di due anticorpi monoclonali: il denosumab, che agisce bloccando particolari proteine coinvolte nel riassorbimento osseo, mentre il secondo anticorpo monoconale agisce bloccando la sclerostina, proteina che inibisce l’attività degli osteoclasti (le cellule deputate alla produzione di osso).

La maggior parte delle circa 200mila fratture vertebrali e 800mila fratture femorali che si registrano ogni anno in Italia è dovuta all’osteoporosi, condizione di cui soffrono tra i 4 ei 5 milioni di donne e uomini. Una ricerca italiana presentata al Congresso europeo su osteoporosi e artrosi, mostra come nel periodo 1999-2002 i costi diretti dovuti alle fratture da osteoporosi siano stati addirittura superiori a quelli provocati dagli infarti.

Punti chiave

  • L’osteoporosi è caratterizzata dalla perdita di massa ossea accompagnata da un’alterazione della microarchitettura del tessuto scheletrico.
  • L’osteoporosi non dà alcuna manifestazione clinica importante fino alla comparsa di fratture per traumi di trascurabile entità.
  • Una donna viene considerata osteoporotica quando la sua massa ossea è inferiore a –2,5 DS rispetto al valore teorico raggiunto al picco di massa ossea (T-score).
  • Il trattamento dell’osteoporosi si avvale di diversi presidi terapeutici atti a contrastare l’ulteriore perdita di massa ossea.

FATTORI DI RISCHIO

  • Menarca tardivo
  • Irregolarità mestruali ripetute
  • Menopausa precoce
  • Corporatura esile
  • Capelli e pelle chiari
  • Abuso di fumo
  • Abuso di alcool e scarso apporto dietetico di calcio
  • Vita sedentaria

COMPLICAZIONI GRAVI

  • Le fratture da osteoporosi sono 4 volte più frequenti dell’ictus.
  • Le fratture vertebrali spesso causano deformazioni della colonna e determinano dolori cronici.
  • Le fratture dell’anca comportano una mortalità fino al 25% delle donne nel primo anno della frattura, e meno del 50% sarà abile alla deambulazione entro 3 anni.
  • Le fratture da osteoporosi si associano ad un rischio di morte di grado comparabile a quello del carcinoma mammario.

L’EPIDEMIA SILENZIOSA*

  • Il 24-30% delle donne in età post-menopausale presenta una bassa densità ossea.
  • Il 23-30% di tutte le donne in età post-menopausale sono osteoporotiche.
  • Fino al 70% dei casi di diminuzione di massa ossea non viene diagnosticato, fino a quando non si verifichi una frattura atraumatica.
  • Il 33% delle donne di età superiore a 65 anni è destinata a subire una frattura da osteoporosi.
  • Il 50% delle donne di età superiore ai 70 anni è destinata a subire una frattura da osteoporosi.

*OMS Technical Report series nr. 843

Papilloma virus (HPV) e vaccino
L’HPV (Human Papilloma Virus) è un virus che fa parte del gruppo dei papilloma virus. Il papilloma virus umano è piuttosto diffuso e la maggior parte delle donne lo prende almeno una volta nella vita. Si tratta di un’infezione che normalmente non causa alterazioni e che scompare da sola.
L’infezione è commessa all’attività sessuale e riguarda la stragrande maggioranza della popolazione: non può dunque essere considerata una vera e propria malattia, ma soltanto una inevitabile conseguenza delle normali attività umane.
Il periodo di incubazione varia da poche settimane a 6-8 mesi, ma non va confusa con la comparsa di eventuali manifestazioni cliniche.
Una delle maggiori preoccupazioni delle persone con infezione e/o manifestazioni cliniche (soprattutto condilomatosi) è il rischio di trasmettere l’infezione da HPV genitale ai componenti della propria famiglia, in particolare ai bambini. L’infezione si trasmette per via sessuale o per contatto, quindi basta fare attenzione a non utilizzare gli stessi oggetti per l’igiene intima in famiglia.
Non è possibile contrarre l’infezione da HPV attraverso una trasfusione di sangue perché il virus non ha un significativo passaggio nel sangue, rimanendo confinato nelle cellule dell’area ano-genitale.
Esistono diversi tipi di Papillomavirus. HPV 6 e 11 sono ceppi molto diffusi, provocano la maggior parte delle condilomatosi vulvari, anali e perianali, ma hanno un basso potenziale oncogenico. I tipi di HPV cosiddetti ad alto rischio (16,18,31, 33 e 35 più altri ma meno frequenti) possono provocare prevalentemente lesioni di tipo displasico (lesioni pre-cancerose), classificate in istologia come neoplasia intraepiteliale cervicale (CIN), che si suddivide in tre gradi di gravità (CIN1, CIN2, CIN3), ma può anche causare il carcinoma. In citologia (Paptest) queste alterazioni vengono classificate come lesioni intraepiteliali squamose (SIL), suddivise in Low-SIL (lesioni di basso grado – infezioni da HPV, CIN1) e High-SIL per le lesioni più gravi, a parte il carcinoma.
Negli ultimi anni è stata predisposta una nuova arma contro il Papilloma virus: un vaccino capace di tenere lontani i 2 tipi di HPV, 16 e 18, responsabili della maggior parte dei tumori del collo dell’utero.
I due vaccini in commercio vanno somministrati con tre iniezioni per via intramuscolare fatte nella parte alta del braccio a intervalli stabiliti. Per il Gardasil le iniezioni sono a 0, 2 e 6 mesi. Cioè la seconda dose andrà somministrata due mesi dopo la prima; la terza dose dopo 4 mesi dalla seconda. Per il Cervarix le iniezioni sono a 0, 1 e 6 mesi. In entrambi i casi, in sostanza, il ciclo vaccinale è semestrale.
Il Cervarix e il Gardasil hanno le stesse indicazioni solo per quanto riguarda le lesioni precancerose e il cancro del collo dell’utero da HPV 16 e 18. Il Gardasil è indicato anche per le lesioni precancerose vaginali e vulvari e per i condilomi genitali, data la composizione quadrivalente anti HPV6, 11, 16 e 18 del vaccino.
La migliore risposta immunitaria si ha tra i 9 ed i 13 anni; non essendo un vaccino terapeutico, la maggior efficacia si ottiene antecedentemente al primo rapporto sessuale, cioè prima di un eventuale contagio.

La campagna di vaccinazione gratuita è rivolta alle ragazze tra gli 11 e i 12 anni di età. La maggiore risposta immunitaria infatti, si ha tra i 9 e i 13 anni; non essendo un vaccino terapeutico, la maggiore efficacia si ottiene antecedentemente al primo rapporto sessuale, cioè prima di un eventuale contagio.
Gli studi e i dati clinici evidenziano che la protezione fornita dal vaccino si mantiene per molto tempo e non vi è al momento la necessità di fare richiami dopo aver eseguito il ciclo completo di vaccino.
Le ricerche e l’esperienza già maturata sul campo hanno evidenziato che il vaccino è sicuro. Prima della vaccinazione verrà fatta una valutazione per verificare se esistono condizioni che sconsigliano la vaccinazione. Il vaccino deve essere rinviato se è in corso una malattia con febbre o una gravidanza.
Gli effetti collaterali più comuni sono le reazioni nella sede di iniezione come bruciore, gonfiore e arrossamento. Più raramente si può presentare febbre, nausea, vertigini, malessere. Reazioni molto gravi, soprattutto di tipo allergico, sono possibili come per ogni tipo di farmaco ma nel caso dei vaccini sono rarissime.
È possibile chiedere informazioni sul vaccino agli operatori sanitari dei centri vaccinali dell’Asl di Milano, al proprio pediatra o al medico di fiducia.
La vaccinazione non rende completamente immune.

HPV